L’avversione a vivere
fuori me
non ha lo stesso
paradigma
dove è nata
l’idea dell’essere.
Troppo giorni
hanno già reciso i
fiori
dai profumi arditi
come false idee di
giustificazioni,
troppi sapori
che non sappiamo più.
I diversi stili di
vita,
i vari sentire
che non sono un
universo solo
hanno troppi ronzii,
troppi voli
già caduti dal cielo
mentre si preparava
il tutto
a disgregarsi
nel disegno ancora
impreciso
del divenire
senza onniscienza,
senza l’esperienza
del fare.
Quando il magma sarà
finito
e perderà le sue
convulsioni
quali ragioni
adotteremo
per sopravvivere ?
Quale istanza ci farà
durare
nella nostra specie
senza trasmigrare
negli inganni
trasversali
di migrazioni
longitudinali,
dal caldo al freddo
dalla fame al mondo
del pane,
dalla misura ad avere
che spreca l’abbondanza
?
Io perduto ormai nel
non finito
mi perderò come hanno
fatto tanti
nelle mille essenze
della vita.
Se avrò memoria
tornerò indietro in
qualche modo
per sconfiggere il
tempo che ci assale.
Ma sarò ancora uguale
ad oggi ?
Avrò altre speranze,
un altro dire ? Un
altro nome
o resterò impaurito e
sconfitto
nel diluvio che mi
ripete inconscio
quando gli occhi si
chiudono
per non vedere
l’affanno della fine ?
Gioacchino Ruocco
Ostia lido 09/05/2014
Inserita nella
raccolta “Breviario della sera”
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