Ne
ricavò soltanto un accidenti.
Andò
diritta al pomo appeso al ramo
e
lo divelse vorace come non sapeva ancora,
vorace
fino all’osso, alla sua natura
incommestibile
e dura. Lo buttò via
che
ancora non aveva in lei il concetto
della
spazzatura, di quello che cadeva
e
maturava in altra natura ancora uguale.
Tutto
le apparve disuguale, tutto si fece
nuovo
agli occhi che si aprivano per la prima volta
sulla
radura intorno senza l’idea,
ancor
non nata, del giorno appresso.
Dopo
che si oscurò cielo e terra
ebbe freddo e una paura di non risvegliarsi
per
continuare ad essere guardando
al
suo futuro ancora incerto
nelle
acerbe apparenze della vita
al primo passo.
Cercò
un muro, ma non c’era ancora
l’idea
di un confine, l’idea della paura
da
cui difendersi e come aprirsi
appresso
al sorgere del sole
che
gli riempi la testa di grida e di spaventi
in
mezzo a tanti accenti da capire.
L’infinito
futuro non aveva radici
E
non le ha avute, soltanto sinonimi
che
usciti dalla radura guardarono intorno
scoprendo
il giorno e la notte scura
e
quello che non sembrò mai vero
la
luce e il buio e la paura e il freddo
che
corse nelle braccia del suo seme
a
raccattare un palpito sicuro
per
la prima volta da che il tempo dura.
Gioacchino
Ruocco
Ostia
Lido 05.07.016
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